Lombardia - Atlante dei Cammini

Cammini d'Italia: l'intervista

Paolo Piacentini - Esperto Cammini del MiBACT

Paolo Piacentini, giornalista ed editoralista della rivista del Trekking; presidente nazionale di Federtrek è stato nominato dal ministro Dario Franceschini Esperto Cammini del MiBACT. Ha insegnato ‘Organizzazione del Territorio Montano’ alla Sapienza di Roma, docente presso il Dipartimento di Geografia; dal 2006 al 2007 capo della Segreteria Tecnica del Ministro dell’Ambiente; dal 2007 al 2010, Presidente del Parco Regionale dei Monti Lucretili . È l’ideatore della Giornata Nazionale del Camminare.

Come nasce la passione per i cammini?
A vent’anni in Val d’Aosta, avevo già iniziato a frequentare la montagna nell’Appennino ma è sulle Alpi che nasce l’amore quando, in un punto del cammino, mi sono trovato in una meravigliosa valle, totalmente immerso nel fresco quando invece a Roma si respirava un’afa pazzesca. Per questo  volevo lasciare tutto: la politica, la cultura, dedicarmi solo alla montagna. Insomma un grande amore.

Oggi in Italia com’è organizzata la rete dei cammini?
Si sta finalmente organizzando in modo più strutturato adesso che il ministero ha deciso di occuparsene. Negli anni precedenti c’era stata una certa attenzione, ma riservata solo alla Via Francigena da parte della Direzione Generale Biblioteche.
L’Associazione Europea delle Vie Francigene (nata nel 2014) ha messo le basi della rete che si sta formando. Oggi finalmente è possibile chiamarla rete, perché molti itinerari sono connessi tra di loro. C’è della disomogeneità ma si sta lavorando su questo, su come creare una rete condivisa tra le Regioni. Anche perché in Italia, a differenza di paesi come Francia e Spagna, non è mai esistita una legislazione nazionale che supportasse l’idea di una segnaletica uniforme.
Ci si è mossi a volte in modo un po’ anarchico, spesso basta avere un’idea creativa che prende spunto da una storia religiosa o da un tema storico-culturale, per avviare la costruzione di un itinerario. Ma questa creatività dal basso – tutta italiana – non va limitata perché da li può sempre nascere un progetto importante. Come il Cammino di San Benedetto o il Coast 2 Coast dall’Adriatico al Tirreno. Ma poi questi itinerari vanno messi a sistema, gestiti nel tempo come assi importanti di turismo sostenibile. E su questo il ruolo che stanno acquisendo le Regioni, è fondamentale.

I cammini di maggior rilievo?
L’unico cammino riconosciuto dall’Europa è la Via Francigena, altri stanno crescendo e sicuramente in futuro si cercherà il riconoscimento europeo. Come, ad esempio, la Via Romea Germanica, il Cammino di Francesco e altri ancora. Su scala nazionale abbiamo il Cammino di Francesco, soprattutto il tratto che va dal santuario della Verna fino alla Valle Santa Reatina che continua verso Roma. Si tratta di un itinerario che arriva fino al Gargano, in parte creato da un’associazione privata, in parte riconosciuto dalle regioni, ha una grande potenzialità perché sono oltre settecento chilometri. C’è il Cammino di San Benedetto, mentre in Sardegna sta crescendo molto il Cammino minerario di Santa Barbara, c’è la Romea Germanica, che ha una grande potenzialità, dato che è l’altro cammino internazionale che parte dal nord Europa, nello specifico dalla Germania e si ricongiunge per alcuni tratti con la Francigena. C’è anche l’Appia che, ad oggi, non è ancora fruibile, ma su cui il MiBACT sta investendo molto. Parlando in termini di fruizione c’è stato un aumento del 50 – 60 % nel 2016 a seguito dell’anno dei cammini. Per riassumere la situazione attuale, i cammini, che sono maggiormente strutturati sono: la Via Francigena, il Cammino di Francesco, il Cammino di Benedetto che sono tutti cammini che hanno migliaia di fruitori, ma anche molti altri sono in forte crescita.

Come sono organizzati i cammini all’estero e qual è la lezione che l’Italia dovrebbe imparare?
Se prendiamo come riferimento il modello spagnolo, il primo modello da studiare è quello organizzativo. C’è un’associazione importante anche a livello istituzionale che cura manutenzione e promozione, per evitare che nel tempo venga a mancare la tracciatura in qualche tratto. Il secondo punto è l’accoglienza. Questo è un grosso limite, in Italia ancora non c’è una legislazione nazionale che normi la cosidetta ‘accoglienza povera’ o a basso costo. Questa necessità non nasce dal fatto che i camminatori sono poveri, ma dalla semplice constatazione che i viandanti hanno esigenze diverse dal turista classico: preferiscono mangiare bene la sera, ma dormire in un ostello o in un’accoglienza di tipo familiare e sobria e questa scelta fa parte del senso più profondo del mettersi in cammino. In Spagna un giovane che vuole fare il Cammino di Santiago può dormire spendendo tranquillamente quattro euro a notte, se fai gli stessi chilometri sulla Francigena oggi questo non è possibile anche se la situazione sta cambiando con sempre più diffuse forme di ospitalità dedicata. In Italia quasi tutta la normativa sul turismo è di competenza regionale e quindi diventa fondamentale il loro ruolo. Dai cammini stranieri dobbiamo imparare a come gestire l’ospitalità a basso costo, o comunque quella che possiamo chiamare “ospitalità dedicata al viaggiatore lento”. Ultimo ma fondamentale elemento è che va cambiata la cultura dell’accoglienza perché il camminatore è una persona che ha pochi bisogni ed esigenze però ha bisogno di sentirsi accolto con calore. Le strutture ricettive devono capire che non si trovano davanti il classico turista, ma una persona che sta mettendo in discussone se stesso, che sta facendo un’esperienza dell’anima. Un altro elemento che manca ai Cammini italiani è la narrazione, oggi con l’uso di massa dei social basta davvero poco, pensiamo a Instagram o a Facebook. C’è poi una narrazione più strutturata, magari attraverso film, serial televisivi, libri o documentari come sul Cammino di Santiago. Sul quale,  a differenza della Francigena, c’è moltissimo materiale.
Dobbiamo prendere maggiore consapevolezza del nostro patrimonio. Un patrimonio paesaggistico, storico e culturale che non ha eguali nel mondo, che può attirare sicuramente un maggior numero di camminatori. Sia italiani che stranieri.

Paolo Piacentini

Che ruolo hanno e quanto sono determinanti oggi le associazioni che detengono e gestiscono i cammini?
La situazione dell’associazioni è un po’ diversificata. L’Associazione Europea delle Vie Francigene è un’associazione privata che però ha avuto il riconoscimento dal Consiglio Europeo e dall’Istituto europeo degli itinerari culturali, è il referente italiano della Via Francigena, ha un ruolo quasi istituzionale, per cui le Regioni gli affidano spesso un ruolo di consulenza. Le altre associazioni sono quasi all’inizio della loro esperienza; si va dall’Associazione del Cammino di San Benedetto che è un’associazione di promozione, all’interno della quale c’è l’ideatore del progetto fino al quella che cura il Cammino di Francesco e a poche altre che iniziano a promuovere e gestire alcuni importanti Cammini regionali. Un ruolo molto importante lo svolge Terre di Mezzo, la casa editrice più conosciuta in questo settore. C’è un associazionismo di base che lavora su alcuni segmenti dei vari Cammini e stanno avendo un grande sviluppo l’attività delle guide ambientali escursionistiche che fino a qualche anno fa puntavano un po’ di meno sui i Cammini perché la fruizione era molto più bassa. C’è il CAI (Club Alpino Italiano) che anima l’escursionismo sui sentieri, poi c’è la Federtrek, insieme a tante altre associazioni, che organizzano su base volontaria gruppi. Ci sono anche delle associazioni che fanno parte del mondo cattolico, ad esempio la Romea Strata è attualmente gestita dalle diocesi.

Le aspettative e i futuri sviluppi del turismo slow?
Le aspettative sono tante, oggi in Italia il turismo slow viene inquadrato come uno dei settori strategici all’interno del PST (Piano Strategico del Turismo). Saranno raggiunti ottimi obiettivi grazie a vari fattori. Oggi i cammini vanno di ‘moda’, soprattutto sotto la spinta del grande successo dei cammini spagnoli, come ad esempio il Cammino di Santiago de Compostela, e del bisogno delle persone di mettersi in contatto con la natura, con il fatto che il camminare crea un grande benessere psicofisico. Altro fattore che farà crescere il turismo slow è la ricerca di un rapporto autentico con i territori visitati e le persone che li abitano. L’altra cosa importante è che le regioni finalmente hanno iniziato a crederci e a vedervi un reale potenziale economico. C’è la così detta Italia Minore, fatta da aree interne, piccoli agriturismi, come ad esempio nella zona dell’Appennino, ma anche alcune zone dell’Umbria e della Toscana, hanno incominciato a vedere che, attraverso i Cammini o i circuiti di ciclo-turismo o le ippovie, c’è stato un incremento turistico considerevole. C’è una crescita d’attenzione confermata anche dalle strutture ricettive che fino a qualche anno fa non sapevano nemmeno che cosa fosse un circuito di ciclo turismo o un cammino. Credo che ci sia un potenziale enorme e molto dipenderà anche da quanto le istituzioni continueranno a investirci. C’è adesso anche il progetto del Demanio coordinato con MiBACT, MIT ed ANAS della messa a disposizione di immobili dismessi e delle case cantoniere. Insomma, c’è un’attenzione che fino a qualche anno fa era inimmaginabile in Italia, ma la grande criticità è come verrà gestita nel tempo la manutenzione, la promozione e la sicurezza di questi grandi itinerari. Il tema dei temi è che essendo percorsi, soprattutto per quanto riguarda la parte fruibile a piedi, dove spesso ci sono lunghi tratti lontano dai centri abitati ed in luoghi ad alta naturalità i tracciati devono essere puliti e con ottima segnaletica. Tutto questo richiede una gestione efficiente nel tempo. Siamo davanti ad un punto chiave, ma molto interessante perché potrebbe animare nuovi modelli di sviluppo locale. Alcune regioni ci stanno già pensando, come la Sicilia, che sta coinvolgendo anche i giovani nel promuovere l’idea di un nuovo presidio del territorio in cui i gestori di attività turistiche lungo il cammino o altri tipi di servizi dedicati, diventano anche i soggetti che si prendono cura del territorio. Il coinvolgimento dei privati, anche nella manutenzione del percorso, determina una crescita culturale nella cura più generale di tutto il territorio. Insomma, dalla crescita del settore si può stimolare la nascita di nuovi modelli socio-economici che determinano benefici diffusi. In Italia alcuni giovani antropologi stanno facendo ricerche su modelli di gestione dal basso dei cammini per farli diventare dei beni comuni a disposizione delle comunità locali. Il turismo lento, in coerenza con il PST, aiuta a diffondere questo fondamentale settore dell’economia in tutta Italia. All’estero, in Belgio e in Francia e adesso anche negli Stati Uniti, i grandi itinerari a piedi vengono utilizzati per l’inserimento sociale dei detenuti, soprattutto minori. In Francia c’è un’esperienza bellissima con il Ministero della Giustizia, anche in Belgio c’è una legge che regola il settore. Quando il detenuto arriva verso oppure è vicino al fine pena, gli viene proposto un percorso alternativo per scontare l’ultimo periodo fuori dal carcere. Ci sono delle associazioni che se ne occupano mettendo a disposizione i propri educatori e animatori. Il progetto prevede, di solito, la percorrenza di lunghi Cammini, anche di mille e più chilometri. Queste esperienze permettono di cambiare il rapporto con se stessi perché è dimostrato che il camminare per periodi molto lunghi modifica profondamente la nostra dimensione interiore. Questo aspetto del valore sociale dei Cammini non è collegato direttamente alla promozione turistica, ma lo diventa come ricaduta indiretta visto che anche questi gruppi usufruiscono delle strutture a servizio dell’itinerario. Sarebbe importante che anche il Ministero della Giustizia italiano prenda in serio esame questa importante esperienza di reinserimento sociale.

Che consigli vuole dare a chi vuole affrontare un cammino?
Intanto bisogna metterci più la testa che la preparazione fisica, l’allenamento di base può aiutare se si deve affrontare un cammino di un mese, non si può partire senza aver mai camminato, però non serve nemmeno una preparazione fisica da professionista, bisogna avere una buona attitudine alla fatica, quello sì, se inizia a fare qualche goccia di pioggia non ci si ferma. Certamente bisogna avere un abbigliamento idoneo, avere delle scarpe adatte, un zaino capiente, ma non troppo, per non appesantirsi in modo eccessivo ma, ripeto, bisogna metterci la testa. Avere l’idea che sto lasciando a casa molte parti di me, dopo una settimana che cammini, diventi un’altra persona, svuotando la testa, capisci, che le cose, che sono veramente utili, sono pochissime; anche il peso dello zaino, dopo un paio di giorni si adatta al tuo corpo, lo zaino è come se diventasse una parte integrante di te. Il consiglio è di lasciarsi andare e bisogna mettersi nella logica di lasciare a casa molti pesi inutili, soprattutto mentali più che fisici. La bellezza dei cammini è che lo possono fare tutti, dai bambini che hanno nove anni fino alle persone che ne hanno novanta. È un turismo senza età ed intergenerazionale.

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